La “guerra di mafia” nel Gargano
Lo scenario criminale del Gargano era già agli inizi del 2017 quello sintetizzato nella relazione sulle attività e i risultati conseguiti dalla Dia nei primi sei mesi dell’anno passato, presentata dal ministro dell’Interno Marco Minniti al Parlamento a febbraio scorso. Si trattava cioè di un contesto “..caratterizzato dall’ascesa delle giovani leve desiderose di colmare i vuoti determinati dalla detenzione di elementi di vertice della mafia garganica, in particolar modo di quelli lasciati dal clan dei Montanari”.
Quanto alle attività illecite predilette il traffico di sostanze stupefacenti era sempre in cima alla classifica (seguono estorsioni e reati predatori) con Vieste che “… si conferma un nodo strategico per i comuni limitrofi di Peschici e di Rodi Garganico, mentre Manfredonia si attesta come la piazza più importante per l’approvvigionamento dell’intera macro area, cui concorrono anche corrieri albanesi”.
Oggi – dopo i quattro morti dell’agguato avvenuto in pieno giorno nei pressi della stazione di San Marco in Lamis (Foggia) per uccidere a colpi di Ak-47 il boss Mario Luciano Romito, da pochi giorni uscito dal carcere, suo cognato e i due involontari testimoni – i mezzi di informazione nazionali si accorgono di quella che, anche nella più recente relazione della DIA del luglio 2017, viene indicata come la “mafia garganica”.
Uno scenario in cui già ci sono stati una quindicina di omicidi dallo scorso anno ad oggi, reso ancora più instabile a causa “..delle spinte di giovani leve criminali, probabilmente foriere di ulteriori conseguenze..”, come annota la DIA che prevedeva già come la “..guerra di mafia che si registra a Foggia potrebbe subire un’ulteriore evoluzione”.
Una guerra tra clan del Gargano che si intravedeva già nel febbraio scorso con l’omicidio, a Vieste, di Onofrio Notarangelo, fratello di Angelo. Proprio a quest’ultimo, soprannominato “cintarrid”, mentre rientrava a casa a bordo del suo fuoristrada, il 26 gennaio 2015 un commando aveva teso un agguato mortale sempre nella città di Vieste.
Si sono riaccesi così i riflettori sulla mafia del Gargano e sulla ripresa di scontri tra famiglie locali.
Angelo Notarangelo, leader dell’omonimo clan, era tornato in libertà a luglio del 2014 dopo aver scontato alcuni anni in carcere per traffico di droghe e attività estorsive ad aziende turistiche e agricole della zona. Brutti segnali c’erano già stati nel novembre del 2014 con alcuni attentati dinamitardi contro negozi del centro a Foggia, con le intimidazioni in alberghi e strutture turistiche a Vieste e il pizzo pagato dai commercianti.
L’ultimo agguato a Foggia c’era stato ai primi di settembre del 2016, con l’omicidio del boss Roberto Sinesi ed il ferimento del nipotino di 4 anni seduto sul sedile posteriore dell’auto su cui viaggiavano.
Che l’Italia sia la patria delle mafie non è una novità, ma bisognerebbe rileggere i due libri di alcuni anni fa del magistrato Domenico Seccia per capire che anche nel Gargano esiste da tempo una mafia che ormai “..impone il suo comando, la sua forza, la sua violenza”.
I media nazionali, in passato, non hanno mai dato particolare risalto a quella “mafia innominabile” descritta nei due libri, frutto dell’esperienza che ha avuto dal 2010 al 2014 come Procuratore della Repubblica di Lucera, pubblicati nel 2011 e 2013 da Edizioni La Meridiana, scritti con un linguaggio asciutto, non sociologico, ma basato su fatti e atti giudiziari.
Una mafia, quella del Gargano, arrogante e per lungo tempo negata, come ha denunciato Seccia. Soltanto nel marzo 2009 la Cassazione, confermando una sentenza della Corte di Assise di Foggia, aveva riconosciuto la mafiosità di una famiglia garganica detta dei “montanari” (i Li Bergolis). Fu l’anno in cui la violenza aveva registrato diversi omicidi tra cui quello di Francesco Li Bergolis detto “O’ Carcaiuolo”, l’”uomo delle cave”, assassinato perché in contrasto con i Romito di Manfredonia.
Nell’ottobre 2011, sempre la Suprema Corte aveva ancora confermato una sentenza, questa volta della Corte d’appello di Bari, riconoscendo la mafia dello “Sperone” italiano, come “..la più efferata e pericolosa in Puglia, ma anche tra le più efferate in Italia (stando alle valutazioni espresse dalle forze di polizia ancora verso la fine del 2010). A Foggia e nell’area garganica, la criminalità organizzata, caratterizzata da un’accesa conflittualità interna e da un’iniziale diffusione di delitti legati alla proprietà terriera, al controllo dei pascoli e dei boschi, si è venuta evolvendo negli anni assumendo i connotati strutturali mafiosi moderni (“Nuova Società”) e stabilendo accordi con le più quotate mafie della camorra e della ‘ndrangheta, ma anche con gruppi albanesi.
Costituita da gruppi “..a forte organizzazione verticistica, basati su vincoli familiari..” la mafia garganica agisce con modalità spiccatamente aggressive, privilegiando le estorsioni in danno di aziende agricole, commercianti, imprenditori turistici, il traffico e lo spaccio di droghe, il riciclaggio. Nella zona del Gargano è forte la contrapposizione tra le famiglie Ciavarella e Tarantino (Sannicandro Garganico) e quella tra i Li Bergolis, gli Alfieri, i Primosa, i Basta (Monte Sant Angelo). Attenuata, invece, la disputa territoriale tra i Li Bergolis e i Rossito dopo gli arresti di Franco Li Bergolis – avvenuto nel settembre 2010 mentre l’uomo era latitante a Foggia e ospite delle famiglie Francavilla e Sinesi – e di Giuseppe Pacilli, nel maggio 2011, subentrato nella leadership del clan mafioso. Aggregati alle due principali famiglie dei Li Bergolis e dei Rossito, le altre congreghe territoriali-feudali dei fratelli Ricucci, che compongono la cosiddetta “batteria di Macchia” (dall’omonima località di Macchia, agro di Monte Sant Angelo), i Gentile e Notarangelo, Frattaruolo (a Manfredonia, Vico del Gargano, Vieste, Mattinata), i Martino (a San Marco in Lamis), i Prencipe (a San Giovanni Rotondo), i Ciavarella, Tarantino (a Sannicandro Garganico).
Il controllo del mercato degli stupefacenti “rimane il più importante motivo di frizione per le diverse fazioni che si contendono le piazze di spaccio”.
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