Tra criminalità e mafia. Roma nella relazione della DNA
Dove ci sono i soldi arrivano le mafie. Non è un caso che il giudice Giovanni Falcone avesse coniato l’espressione “Follow the money”. Perché la regola a cui ogni consorteria criminale si piega è quella che le permette di preservare e accrescere i propri affari, così da vedere di pari passo ampliarsi e consolidarsi anche il proprio potere sul territorio. E se si pensa alla Capitale, che di soldi ne vede girare tanti e per tanti motivi, non si fatica a credere nell’esortazione messa in bocca al Libanese in “Romanzo Criminale”, dove quel “se compramo tutta Roma!” rappresentava il grimaldello per entrare nel gotha delle strutture criminali che attanagliavano la città.
È particolare, la Capitale. È la città delle istituzioni, della politica, dei palazzi storici, delle società e degli appalti. È una città allettante, Roma: la criminalità lo sa. E come accade nelle altre aree del Paese economicamente ricche ma non terra di mafie tradizionali, le organizzazioni mafiose hanno individuato nel riciclaggio di capitali illecitamente accumulati altrove e nell’investimento in attività imprenditoriali il proprio core business.
Qui – emerge dalla annuale relazione presentata dalla Direzione Nazionale Antimafia – la criminalità organizzata, soprattutto la camorra e con il tempo anche la ‘ndrangheta, ha preferito non duplicare i meccanismi tipici che in uso nei territori d’origine, ma optare per una infiltrazione silenziosa nel tessuto commerciale e imprenditoriale.
Però Roma non è solo un bacino per le mafie. Si legge nella relazione: “Il Procuratore distrettuale di Roma è molto attento a precisare che, pur se sono presenti in modo strutturato organizzazioni di tipo mafioso che rivestono un ruolo molto importante nelle complessive dinamiche criminali, la questione mafia a Roma non è certamente esaustiva di tutta la questione criminale, né può dirsi che la mafia domini Roma”.
Allora se la città non è sotto il dominio della mafia, vuol dire chela situazione è più semplice? No, purtroppo. Perché nel suo essere speciale Roma contempla anche la capacità di vedere convivere in sé vari gruppi criminali che sviluppano un loro profilo autoctono e che, per sopravvivere, rispettano le regole della convivenza le quali, in certi casi, si traducono in “collaborazione”.
A Roma “non c’è un solo soggetto in posizione di forza e dunque di preminenza sugli altri, ma sullo stesso territorio interagiscono e coesistono diverse entità criminali. Sono innanzitutto presenti singoli o gruppi che costituiscono proiezioni, in senso ampio, delle organizzazioni mafiose tradizionali, soprattutto della ’ndrangheta e di diversi gruppi di camorra. E tali proiezioni – scrive la DNA – operano secondo modelli non necessariamente omogenei quanto a natura, complessità, stabilità e autonomia della struttura, anche se non sempre con riferimento ad esse trova luogo la qualificazione in termini di autonoma associazione di tipo mafioso”.
Gli affari a Roma
L’eterogeneità dell’offerta criminale fa da specchio a quella dei campi d’azione.
“Nella Capitale c’è la corruzione della pubblica amministrazione, c’è la criminalità economica (fallimenti che sfociano in bancarotte fraudolenti, grande evasione fiscale e altre frodi a danno dello Stato) per importi di miliardi di euro, c’è l’eversione, ci sono il terrorismo e la criminalità politica, c’è un problema di gravi reati in materia ambientale. Poi c’è l’ingente fenomeno del narcotraffico. Con i suoi 3 milioni di abitanti – si legge ancora – Roma è un grande mercato delle più diverse sostanze stupefacenti, ma è anche uno snodo: l’aeroporto di Fiumicino e il porto di Civitavecchia costituiscono altrettanti punti di ingresso consolidati per tali sostanze, destinate ad essere vendute e consumate sia in città che altrove”.
A questo si aggiunge il giro di interessi intorno al Centro Agroalimentare Romano – situato a Guidonia – che, insieme al Mercato Ortofrutticolo di Fondi, ha un volume di affari che influenza i prezzi del settore in tutta Europa.
Non si può immaginare un solo soggetto in grado di gestire tutto ciò. Per questo esistono punti di contatto sia fra i vari gruppi criminali che per quel che concerne la tipologia di delitti. Una situazione che, in risposta, richiede una permeabilità informativa tanto fra i vari settori della procura, quanto fra le forze dell’ordine. Non solo: il fatto di vedere coinvolti più gruppi criminali, implica anche la necessità di avere la stessa collaborazione con le altre Direzioni Distrettuali Antimafia.
C’è un business, poi, che più di altri mette d’accordo tutti, soprattutto perché così si delinque meglio: “Resta poi indubbio che il narcotraffico rappresenta uno dei maggiori – se non il principale – settore di interesse criminale delle organizzazioni che operano nel Lazio. Molteplici acquisizioni confermano come proprio per tale settore si registri un comune interesse da parte di tutte le associazioni criminali che coesistono sul territorio, sia quelle autoctone, sia quelle di tipo mafioso tradizionale, sia quelle di matrice etnica”.
Come emerso già negli anni precedenti, tra i gruppi criminali che coesistono e operano in particolare sulla piazza di Roma non si registrano situazioni di grande contrasto. Dalle nuove indagini sembra emergere l’esistenza di un patto esplicito per evitare che questi contrasti – che pure ci sono, come è inevitabile che sia – degenerino in atti criminali eclatanti, che rischierebbero di attirare l’attenzione degli inquirenti e dei media.
Se da una parte la criminalità organizzata è attenta a rimanere sottotraccia, dall’altra capita che debba ricordare agli altri gruppi e agli affiliati che le regole ci sono e vanno rispettate anche in silenzio. In questo la criminalità è uguale dappertutto. Gli stupefacenti, a causa delle ingenti somme investite e degli elevati guadagni che ne derivano, innescano episodi di violenza che non solo derivano dalla necessità di controllo delle zone di spaccio, ma anche dall’esigenza di sanzionare la mancata consegna della merce commissionata o il mancato pagamento delle partite ricevute. “Recenti indagini – scrive la Direzione Antimafia – hanno poi confermato come il narcotraffico nella capitale, oltre che nelle forme del transito di grandi partite di sostanza stupefacente, si atteggi secondo il (proliferante) modello delle piazze di spaccio, importato dal territorio campano. Più in particolare, quanto al primo profilo (quello del controllo del territorio, ndr), deve essere sottolineata la persistente operatività di diversi gruppi di derivazione mafiosa, ovvero collegati funzionalmente alla ‘ndrangheta o alle diverse famiglie di camorra; quanto poi alla gestione delle piazze di spaccio, si sono evidenziati gruppi criminali storicamente affermati sul territorio romano, come ad esempio i Cordaro di Tor Bella Monaca”.
Nel computo della capacità di saper convivere, come mostra in modo chiaro la DNA, rientra anche la divisione di “competenze” fra i gruppi criminali stranieri che operano su Roma.
I cinesi, che ormai non sono più trincerati all’Esquilino, ma fanno segnare la loro presenza attiva anche fra Casilino, Tuscolano, zona Appia fino a Ostia, sono specializzati nell’esportazione di soldi sporchi con il money transfer. I rumeni spiccano per i delitti contro il patrimonio e per l’organizzazione di giri di prostituzione. Ambito, quest’ultimo, che dividono con gli albanesi, attivi anche nel traffico di stupefacenti, e i nigeriani, accusati di occuparsi della tratta di esseri umani, di immigrazione clandestina e traffico di sostanze stupefacenti.
Lavorano su commissione, invece, i georgiani, specializzati nei furti in abitazioni alla ricerca di gioielli ed altri preziosi che vengono immediatamente rivenduti ad una rete di ricettatori, tra cui figurano anche gioiellerie e “compro oro”.
Il caso Mafia Capitale
Nella relazione un posto a parte è dedicato a Mafia Capitale.
Era appena iniziato il mese di dicembre del 2014 quando, con i primi arresti dell’operazione “Mondo di mezzo”, nata dall’attività investigativa avviata nel 2012 dagli uomini del Ros dei carabinieri, inquirenti e investigatori parlano per la prima volta della presenza di una mafia “autonoma e autoctona” nella Capitale. In questo mondo di mezzo rivelato, ci sono finiti politici, amministratori delegati, funzionari capitolini e facilitatori. La mafia che usciva dalle carte della Procura si era insediata da anni a Palazzo Senatorio e si muoveva lungo il limite sottile fra illecito e apparentemente lecito, e spesso socialmente accettato, che la rendeva ancora più performante e incisiva.
Da allora si sono susseguiti altri arresti, scarcerazioni, processi ordinari e riti abbreviati. Alcune sentenze sono arrivate, e con esse le condanne, altre arriveranno.
Col tempo sembra che la città e, soprattutto, quanti sono stati coinvolti si preoccupino più di far cadere l’accusa di associazione mafiosa che di dimostrare la propria estraneità ai fatti. Come a dire che è normale ci sia corruzione e compravendita di quote di partecipazione in appalti e affari pubblici, ma più di questo proprio no, anche perché non è che fra i fermati figurino degli assassini. Insomma: una corruzione e una spartizione – decisa da chi conta – che fa mangiare un po’ tutti… e scusate se questa non è mafia!
La relazione della Procura Nazionale Antimafia tiene in considerazione i fatti fino al 30 giugno 2016, quindi qualcuno che potrà bollare come “datate” le considerazioni in essa presenti. Ma intanto, nero su bianco, vengono messe cose precise: “Sulla scorta delle decisioni giudiziarie sinora intercorse, può affermarsi, con riferimento alla contestazione del delitto di associazione di stampo mafioso, l’esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà, per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici. Tale organizzazione, convenzionalmente denominata Mafia Capitale, presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso fin qui conosciuti, ma essa è certamente da ricondursi al paradigma criminale dell’art. 416 bis del codice penale, in quanto si avvale del metodo mafioso, e cioè della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza, per il conseguimento dei propri scopi”.
Scopi che per la DNA sonol’infiltrazione del tessuto economico, politico ed istituzionale, e l’ottenimento illecito dell’assegnazione di lavori, di servizi e di forniture da parte della Pubblica Amministrazione.
A sostegno della tesi della Procura, c’è la sentenza del 10 aprile 2015 della Corte di Cassazione che conferma la configurabilità del reato di associazione mafiosa per alcune posizioni di custodia cautelare, e quindi l’applicabilità del 416bis anche al di fuori delle mafie tradizionali, sottolineando come “tutte le mafie, sia quelle tradizionali che quelle nuove, preferiscono sempre più ricorrere alla minaccia e alla violenza solo come extrema ratio, adottando – quindi – un approccio di tipo collusivo/corruttivo”.
Il 3 novembre del 2015 arriva un’ulteriore riprova con la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare, il quale affronta, questa volta a cognizione piena (cioè nel merito) e non più a fini cautelari, la posizione di alcuni imputati che hanno chiesto di definire la propria posizione con il giudizio abbreviato. Nella motivazione depositata il 28 gennaio 2016, vengono individuati tutti gli indici rivelatori della presenza di una associazione di tipo mafioso: “Sulla scorta degli elementi illustrati può ritenersi accertata la presenza nella capitale di un’associazione, che presenta caratteri e indicatori di mafiosità, individuati dall’elaborazione giurisprudenziale – la segretezza del vincolo, una struttura gerarchica, l’assoluto rispetto del vincolo gerarchico, il metodo mafioso utilizzato per l’acquisizione del controllo di imprese, di interi settori economici e di appalti pubblici, il diffuso clima di omertà, che ne deriva, un programma che comprende tutte le finalità contemplate dall’art. 4l6 bis c.p.-, che ha in Carminati il suo vertice, il quale le ha impresso cifra criminale e metodo operativo, ne ha deciso struttura, collocazione, direzione e ambiti di operatività, che ha matrice originaria e specifica nella realtà romana, nella quale operava da anni e che ha operato impunemente nella Capitale, riuscendo a raggiungere, favorita dalla combinazione di fattori illustrata e dalle congiunture storico-politiche descritte, una posizione dominante nel settore degli appalti pubblici e, per quanto illustrato, l’occupazione dell’intera struttura comunale e delle sue municipalizzate nel corso della precedente amministrazione (quella di Alemanno, ndr), garantendosela anche dopo il cambio di maggioranza con lo stesso metodo e con un’intensa ed ugualmente efficace attività corruttiva”.
Mafia, quindi. E con caratteristiche proprie. “Originale perché l’organizzazione criminale presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note; originario perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali”.
Quella descritta è una organizzazione pericolosa quanto poliedrica, che ha usato il peso di alcuni personaggi noti per il loro passato criminale, che è diventata il collettore di organizzazioni esistenti ed è in grado di adattarsi al mutare dei tempi in modo liquido e pervasivo. Si legge ancora: “Questo gruppo criminale costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che si è evoluta, in alcune sue componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana, definitivamente trasformate in Mafia Capitale. (…) Mafia Capitale, in questo differenziandosi e in parte affrancandosi dalle precedenti espressioni organizzate capitoline come la Banda della Magliana, ha avuto la capacità di adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, creando una struttura organizzativa di tipo reticolare, che mantiene inalterata la capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo nei confronti di tutti coloro che vengano a contatto con l’associazione”.
A Roma, forse più che in altri posti, per muoversi bene bisogna fare come l’acqua e come l’acqua bisogna saper prendere la forma del recipiente che la contiene. Ad Ostia, mare della Capitale, la mafia si muove in modo diverso. Diversa è Tor Sapienza, dove spesso finiscono i richiedenti asilo, o a Tor Bella Monaca, dove le case popolari sono state trasformate nelle basi operative del malaffare. Insomma, che abbia la cravatta o che sia sdrucita a Roma la mafia c’è. E non è solo un prodotto di importazione.
DNA, per le mafie meglio la corruzione della violenza
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