La speranza di un’Europa libera e unita
“Determinati a porre le fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei, decisi ad assicurare mediante un’azione comune il progresso economico e sociale dei loro paesi, eliminando le barriere che dividono l’Europa, assegnando ai loro sforzi per scopo essenziale il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei loro popoli, riconoscendo che l’eliminazione degli ostacoli esistenti impone un’azione concertata intesa a garantire la stabilità nella espansione, l’equilibrio negli scambi e la lealtà nella concorrenza, solleciti di rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite, desiderosi di contribuire, grazie a una politica commerciale comune, alla soppressione progressiva delle restrizioni agli scambi internazionali, nell’intento di confermare la solidarietà che lega l’Europa ai paesi d’oltremare e desiderando assicurare lo sviluppo della loro prosperità conformemente ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite, risoluti a rafforzare, mediante la costituzione di questo complesso di risorse, le difese della pace e della libertà e facendo appello agli altri popoli d’Europa, animati dallo stesso ideale, perché si associno al loro sforzo, hanno deciso di creare una Comunità Economica Europea (CEE)”.
Con queste parole inizia il Trattato europeo firmato a Roma il 25 marzo 1957 dai rappresentanti di Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi (Olanda).
Non si può certo dire che l’Europa sia nata soltanto come entità economica: ben più ampio era l’orizzonte dei promotori. Infatti, questa visione comunitaria e solidaristica era già presente nel documento fondativo della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA), la dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 a Parigi, nella quale si affermava: “L’Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea”.
A distanza di 60 anni dal Trattato di Roma è doveroso chiedersi se l’odierna Unione Europea si possa considerare all’altezza delle aspettative dei fondatori. Evidentemente si sono fatti molti passi avanti, a cominciare dal fatto che si è passati da 6 a 28 Stati membri. Ma è anche vero che per la prima volta uno Stato (la Gran Bretagna) sta per chiedere l’uscita dal contesto europeo. Non solo: in molti Stati dell’Unione da parecchi anni soffia un vento antieuropeista, con il riaffermarsi di concezioni nazionalistiche e/o etniche contrapposte, da cui purtroppo sono scaturite tragedie anche recenti (vedi ad esempio il conflitto nella ex Jugoslavia).
Certamente, l’Europa finora non ha dato grande prova di sé stessa, né è riuscita a mantenere le promesse e le aspettative dei popoli che la costituiscono. In parte ciò è dovuto all’affievolirsi dello spirito europeo, poiché l’Europa di fatto non è ancora sentita come la propria patria.
Le nuove generazioni, simboleggiate dai progetti Erasmus, stanno dando un contributo nella costruzione di una comunità di giovani che si vivono come identità in relazione, che si sentono come appartenenza comune. In fondo, l’Europa è nata dal sogno di pochi giovani confinati su un’isola. Oggi emerge la necessità di riandare alle fonti, per recuperare lo spirito federalista di Altiero Spinelli, che nell’agosto del 1941 a Ventotene nel “manifesto per un’Europa libera e unità” ha inserito questa esortazione: “sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi”.
Siamo in un periodo di transizione e di incertezza sulle sorti dell’Europa. Occorre scegliere se avviarsi verso un progressivo sgretolamento, abbandonando il sogno dei fondatori, oppure se ridare linfa al progetto europeo, proseguendo con maggior decisione e convinzione nel processo di integrazione, di una nuova propulsione di natura politica che rilanci e rafforzi la componente sovranazionale dell’Unione Europea. Una simile evoluzione rappresenta peraltro la possibilità di costruire un’identità europea, non in termini difensivi, ma in proiezione di apertura, in coerenza con il tratto progettuale che segna, fin dall’origine, la storia europea.
Come ha scritto il filosofo Theodor Adorno: “Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzarne le speranze”.
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