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Il Parlamento che dovrebbe controllare il Governo

Rocco Artifoni il . L'analisi

Nel testo della riforma costituzionale vengono precisate le competenze della Camera dei deputati: “è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo  politico,  la  funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo” (art. 55, comma 4).
Da una parte viene escluso il Senato della Repubblica dal rapporto con il Governo, dall’altra viene esplicitato con chiarezza quali sono le funzioni della Camera. In teoria questo dovrebbe essere il ruolo del Parlamento con la Costituzione vigente, ma occorre riconoscere che nel testo della riforma viene definito in modo più preciso il quadro dei poteri da esercitare.
Se si applicasse davvero questa impostazione, per l’Italia sarebbe una vera rivoluzione. Perché attualmente accade che l’indirizzo politico sia dettato dal Governo,  che soltanto il 21% delle leggi approvate sia di iniziativa parlamentare e che il Governo condizioni fortemente l’operato del Parlamento attraverso l’abuso di voti di fiducia, decreti legge e legislativi.
Sulla Carta l’Italia dovrebbe essere una repubblica parlamentare, ma nei fatti sembra invece una democrazia governativa. Il paradosso del progetto di revisione della Costituzione è che a parole sottolinea il potere politico del Parlamento, seppur limitato alla Camera dei deputati, mentre nei fatti – attraverso la legge elettorale “italicum” e la conseguente omogenea maggioranza artificiosamente costituita – crea una diretta cinghia di trasmissione tra il primo partito e il governo.
In questo scenario è assai difficile credere che la Camera dei deputati possa esercitare una vera funzione di “controllo dell’operato del Governo”, sapendo che maggioranza parlamentare e governo saranno appannaggio dello stesso partito. Ovviamente, questa “coincidenza d’interessi” (altro che “controllo”) viene amplificata se il Presidente del Consiglio dei Ministri è anche il segretario del primo partito (come attualmente accade con Matteo Renzi).
Montesquieu, il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri, tre secoli fa scriveva: «Se il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone  tratte dal corpo legislativo,  non vi sarebbe più libertà,  perché i due poteri sarebbero uniti,  le stesse persone avendo talvolta parte,  e sempre potendola avere,  nell’uno e nell’altro».
Oggi il contesto è sicuramente diverso: abbiamo una Costituzione, un Presidente della Repubblica, una Corte Costituzionale e una magistratura indipendente. Ma resta elevato il rischio di confondere la funzione legislativa con quella esecutiva. La distinzione dei poteri resta la premessa indispensabile per evitarne gli abusi.

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