L’ereditiera di Riina
In Italia i poteri criminali passano di mano in mano, vengono lasciati in eredità, mettono radici infinite, nel disinteresse generale e con il complice sostegno della politica. Allora perché meravigliarsi o scandalizzarsi delle parole criminali con le quali, dal riparato tempietto di una emittente televisiva svizzera, la figlia di un criminale si candida a prendere il posto di papà, criminalmente riconosciuto, in una certa fase della vita di Cosa Nostra, come il numero uno che più sanguinario non si può?
E’ di Lucia Riina, la figlia di «don»Totò, che stiamo parlando. La quale, in un’intervista a Ginevra (commissionata dal padre? Suggerita dai suoi avvocati? Sollecitata da qualche potere svizzero che in fatto di soldi ha un odorato affinato nei secoli?) si dice onorata e felice di chiamarsi come si chiama, di capire il dolore dei familiari delle vittime fatte a pezzi da papà ma d’aver sofferto come non mai nel giorno del suo arresto. Poi, la ragazza – e questo si capisce – , vuol bene alla mamma che le insegnò a leggere e scrivere – criminalmente leggendo, e criminalmente parlando, s’intende- perché a causa della latitanza del genitore le fu negato il diritto di sedere nei banchi di una scuola ( il particolare di questa circostanza non lo prenderemmo a scatola chiusa, visto che a latitanti di quel calibro non sono mai mancate le cliniche compiacenti per far partorire le mogli in anonimato; o scuole e tutori con gli occhi chiusi sull’identità di certi alunni).
Dicevamo: perché meravigliarsi? Perché stupirsi? Ma indignarsi sì, si può. E si deve. Vita natural durante, verrebbe da dire.
D’altra parte, criminalmente parlando, il fatto che «Il Giornale», citando le parole di condanna per il contenuto dell’intervista di Lucia Riina, di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’ Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, abbia adoperato il verbo «tuonare» piuttosto che «stigmatizzare», cos’ altro è se non lo strizzare l’occhiolino proprio ai frequentatori abituali di un «linguaggio criminale»? In Italia, si sa, tutti usano darsi una mano nei momenti di difficoltà…
Una volta, a un giudice che lo interrogava contestandogli frequentazioni «esclusivamente» mafiose nella città di Palermo, «don »Vito Ciancimino, che per la sua conoscenza del «linguaggio criminale» era paragonabile al Tommaseo per la sua conoscenza della lingua italiana, rispose, spiritosamente, che se fosse nato in Svizzera avrebbe conosciuto «esclusivamente» fabbricanti d’orologi, venditori di gioielli e produttori di cioccolata. Osservazione acuta. Ma se oggi le figlie dei boss vanno in Svizzera per essere sicure d’acquisire un’ «immunità criminale» a tutto tondo, ciò significa che da quelle parti i tempi per i produttori di cioccolata si son fatti duri …
Quanto all’Italia, non dimentichiamoci che ogni criminale che si rispetti ha almeno una figlia … E qual è la massima aspirazione di un padre se non quella di lasciare ai suoi figli l’eredità del suo potere, fosse questo anche di origine e natura criminale?
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