Raccontare L’Aquila, quattro anni dopo il terremoto
Dal campo di volontariato e studio dedicato al Medi@attivismo – Paganica (L’Aquila)//.“Siate archeologi della notizia, scavate nei fatti per raccontarli”. Cosi Don Marcello Cozzi, vicepresidente di Libera, saluta gli oltre 20 giovani provenienti da tutta Italia e arrivati ieri a Paganica, L’Aquila, per il secondo campo di mediattivismo organizzato da Libera, in corso sino al 23 luglio nel capoluogo abruzzese. “Le mafie hanno paura soprattutto di due tipi di informazione – dichiara Cozzi – durante l’assemblea iniziale che si è tenuta sul campo della Polisportiva di Rugby – quelle che mettono insieme i fatti e quelle che li raccontano in presa diretta e disturbano i loro affari”. Affari, ribadisce Cozzi, che sono sempre più il cuore criminale e occulto di un sistema di potere, generato e rafforzato dalle mafie in Italia e nel mondo.
Le responsabilita’ dell’informazione. “C’e’ un dato che possiamo affermare con certezza – commenta Cozzi. Il giornalismo, in questi ultimi vent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, non ha raccontato tutto quello che e’accaduto, sotto il profilo della lotta alle mafie. E tante nella storia del nostro Paese sono state tante le pagine buie, sconosciute, confuse che il mondo di mass media non hanno contribuito a chiarire”. Un buco dell’informazione che ha toccato direttamente anche l’Abruzzo e L’Aquila. Qui, la notte del 6 aprile del 2009, una scossa di terremoto di magnitudo 6.3 ha distrutto la città’, provocato 308 morti, sventrando case, inghiottendo attività commerciali e interi paesini. Sotto le macerie sono rimaste anche la libertà d’informazione, i diritti e la democrazia degli aquilani. Al campo di mediattivismo il giornalista e responsabile di Libera L’Aquila, Angelo Venti, Cristina Iovenitti volontaria dell’associazione e Sergio Rotellini della Polisportiva, Paganica Rugby hanno raccontato la gestione dell’emergenza post-sisma . “Sin dai primi giorni – spiega Venti – ci accorgemmo che c’era un coordinamento insolito dell’ordine pubblico, una militarizzazione, in un primo tempo regolare, che anziché allentarsi come accade solitamente, si intensificava. Questa scelta portava soprattutto a limitare, anzi bloccare, la circolazione delle informazioni, soprattutto nelle tendopoli gestite (come tutta l’emergenza,ndr) dalla Protezione Civile”. Le inchieste di Angelo Venti puntarono subito il dito sulla sospensione della democrazia e mesi dopo, saranno le indagini della magistratura a restituirci con chiarezza il “sistema da manuale” che venne applicato dai vertici della Protezione Civile (successivamente coinvolti in procedimenti giudiziari, ndr) cui il Governo affido’ la guida diretta del post-sisma. Appalti e comitati d’affari: a pagarne il prezzo saranno i cittadini.
Sollevati Abruzzo. “Organizzare la gente per reagire a questa palese violazione dei nostri diritti, alla disgregazione sociale messa in atto, ai progetti di costruzione di case provvisorie ( C.A.S.E. e MAP, ndr) lontane dal centro storico, lo svuotamento de L’Aquila. Questo e’ quello che abbiamo provato a fare in questi lunghi quattro anni – racconta Venti – mentre la maggior parte dell’informazione nazionale restava a guardare, immobile, senza spiegare, anzi diventando cassa di risonanza di questo “esperimento” di gestione delle emergenze. Venti e altri volontari che in seguito daranno vita al presidio locale di Libera, provarono a fare informazione attraverso un Ciclostilato che – nei fatti – fu il primo strumento di resistenza, il primo atto con cui venne violata la regola imposta in quei giorni: non far circolare informazioni.
Una città fantasma. “Addormentarsi con una vita e svegliarsi con un’altra. Io vivo in una città che non esiste, in cui e’ ancora difficile fare le cose quotidiane” – spiega Cristina Iacovenitti, rientrata in Abruzzo la stessa sera del terremoto e poi mai più ripartita. Cristina era una “fuori sede” ma da quella notte e’ rimasta fra la sua gente ad aiutare, in un primo tempo, a vigilare in seguito. A protestare contro le scelte del Governo “che passavano sulle nostre teste – commenta”. “Quando facevamo qualcosa si sperava che il resto dell’Italia sapesse e invece giorno dopo giorno ci accorgevamo che non era così. Cristina denuncia più volte nel suo intervento “l’oscuramento dei media nazionali” e il muro di gomma che ostacolò la circolazione dell’informazione sul post-sisma, sulle speculazioni edilizie, sulla mancata ricostruzione del centro storico della città. Quella del terremoto continua ad essere, fra le altre cose, una storia di informazione negata ma anche di grande solidarietà’ come raccontato da Sergio Rotellini, responsabile della Polisportiva Rugby Paganica. “Il campo di rugby in cui vi trovate – spiega Sergio ai ragazzi – e’ stato il primo luogo in cui abbiamo dato accoglienza, assistenza e informazioni. Per molto tempo, inoltre, è stato l’ unico luogo di aggregazione sociale per il paese”. Per Sergio, Cristina, Angelo la loro vita privata e pubblica si è fermata quel 6 aprile del 2009. Dopo e’ stata un’altra vita, un altro tempo. Sospeso, in attesa di un futuro che in questa città sembra non arrivare.
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