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Paolo Borsellino: la sua forza e il suo coraggio riecheggiano nella Biblioteca Comunale

di Lorenzo Baldo il . Sicilia

Ventuno anni dopo l’impegno continua”. Il titolo dell’incontro organizzato martedì 25 giugno dall’associazione Cittadinanza per la magistratura è alquanto esplicito. L’atrio della Biblioteca Comunale è quello stesso luogo, laicamente “sacro”, dove Paolo Borsellino lasciò il suo testamento morale e spirituale il 25 giugno del 1992. La poetessa Lina La Mattina introduce l’incontro con una poesia dedicata al suo giudice con i baffi, “A un omu cu li mustazzi”, in quelle poche righe vibra tutto il dolore e la passione di un uomo che nei 57 giorni tra la strage di Capaci e via D’Amelio porta su di sé il peso di una croce pesantissima. Che mai un istante cercherà di abbandonare. E sono tante le similitudini tra il ’92 ed oggi: gli attacchi politico-mediatici ai magistrati più esposti, il palazzo del veleni con i vari corvi e le diverse talpe.

Protezione per Di Matteo
In un clima come questo c’è da evidenziare che al pm di punta nel processo sulla trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo, è stato aumentato il livello di protezione: dal livello “2” al livello “1”. Si tratta di quello massimo. Lo scorso 27 maggio Antimafia Duemila si era fatta promotrice di una vera e propria denuncia dei “buchi neri” sulla protezione a Di Matteo. La protesta era stata ripresa dal Fatto Quotidiano, dal sito di Salvatore Borsellino e da altre testate telematiche. E proprio in occasione del 21° anniversario dell’ultimo incontro pubblico di Paolo Borsellino viene di fatto riscontrato che da un paio di settimane quella denuncia mediatica ha sortito l’effetto di  aver favorito l’innalzamento della protezione attorno al magistrato più esposto d’Italia. Ecco allora che davanti al domicilio del magistrato (così come davanti la casa della madre) viene disposta la vigilanza fissa, viene predisposto un servizio di videosorveglianza (con gli addetti al servizio di bonifica che si occupano  anche della visualizzazione delle immagini nel periodo in cui il pm sta in ufficio), sui tombini circostanti vengono eseguiti maggiori controlli e viene infine ampliata la zona rimozione nei tratti di strada vicino ai due domicili. Si tratta di una direttiva importante, sicuramente perfezionabile (possibilmente con un eventuale aggiunta del dispositivo “bomb jammer”, ad esempio), ma che rappresenta un segnale forte, del tutto necessario in questo particolare momento storico.

Un atrio intitolato a Paolo Borsellino
Con un colpo morbido Fiammetta Borsellino scopre la targa che reca il nome di suo padre. D’ora in poi questo luogo si chiamerà “Atrio Paolo Borsellino”. Poco prima il sindaco Orlando ha rammentato l’angoscia e la tensione di quel 25 giugno di 21 anni fa. Ed è di seguito il figlio del giudice, Manfredi, a ricordare l’emozione sua e di tutta la sua famiglia mentre guardavano la diretta di quell’incontro trasmesso da una tv locale. “Mentre parlava di Falcone – sottolinea il figlio del giudice – mio padre parlava di sé e di quello che avrebbe vissuto…”.  Poco dopo si susseguono l’esibizione del coro diretto dal Maestro Giordano e la consegna della prestigiosa targa “Paolo Giaccone”  a cura dell’omonimo Centro Studi. Il prof. De Leo ricorda la caratura morale del prof. Giaccone che la stessa Agnese Borsellino aveva descritto lo scorso 5 novembre in occasione  della sua nomina a socio onorario del Centro studi Giaccone. Subito dopo una tromba suonata da un sottoufficiale della Guardia di Finanza fa volare il “silenzio” per tutto l’atrio. La gente si alza in piedi, è come se la vibrazione di un “giusto” assorbita dalle pareti di questo antico palazzo si liberasse in un istante. Un applauso liberatorio lascia spazio all’attrice Stefani Blandeburgo che legge un brano di Michele Perriera. “Il disgusto è l’ultima risorsa attiva dell’intelligenza”, scriveva Perriera. Un disgusto oltre il quale, affermava, “c’è il silenzio, o l’estrema solitaria innocenza dell’emigrazione o dell’eremitaggio”. In prima fila accanto a Luca Manca (fratello dell’urologo Attilio Manca morto in circostante alquanto misteriose), è seduto Vincenzo Agostino insieme a sua moglie Augusta.

La ricerca della verità
La pretesa di giustizia e la dignità del dolore dei coniugi Agostino vengono citati dal giornalista Roberto Puglisi moderatore del dibattito con i magistrati Giovan Battista Tona, Nino Di Matteo, Nico Gozzo, insieme agli avvocati Gaetano Lanfranca e Fabio Repici. Puglisi chiede quindi a Giova Battista Tona se effettivamente questo Paese voglia o meno tutta la verità su quel periodo buio. Amara, ma decisamente realistica, l’analisi del giudice Tona per il quale “non tutta la società e non tutte le istituzioni sembrano volere questa verità”. Di seguito è Di Matteo a rispondere al moderatore sul tema dell’accondiscendenza “di facciata”. L’intervento del magistrato si snoda su più fronti, ma il punto cardinale della sua analisi ruota sempre attorno al “coraggio” di Paolo Borsellino, al coraggio di esporsi, di “chiamare le cose come sono”, un coraggio che deve appartenere ad ogni magistrato. Di Matteo ripercorre le tappe di una ricerca della verità che inizialmente ha creato “fastidio” e poi una crescente “ostilità”. Il pm teme fortemente che quella ricerca della verità interessi realmente “una parte limitata dell’opinione pubblica”, così come “una parte limitata della politica”, dove serpeggia forte la “voglia di archiviare”. Alla domanda di Roberto Puglisi legata al ricordo di Agnese Borsellino è lo stesso Nico Gozzo a rispondere. Il procuratore aggiunto di Caltanissetta rammenta il suo sdegno di fronte alle dichiarazioni di un indagato che si era permesso di insultare la vedova del giudice Borsellino (l’ex generale Antonio Subranni, ndr) con pesanti allusioni sul suo stato di salute. Da quel momento l’indignazione di Gozzo aveva ispirato alcuni suoi amici e conoscenti a formare un gruppo facebook in sostegno della vedova Borsellino che in pochissimo tempo aveva raggiunto la quota di 3000 iscritti. Nelle parole del procuratore Gozzo emerge la forza d’animo di Agnese Borsellino altamente “rispettosa” delle istituzioni, ma altrettanto “irrispettosa” di quegli uomini delle istituzioni legati a doppio filo con Cosa Nostra. L’avvocato Lanfranca interviene di seguito per ricordare il dopo stragi: dal depistaggio su via D’Amelio fino ad arrivare alle indagini sulla trattativa Stato-mafia.

Lo scritto di Fiandaca
La successiva domanda di Puglisi che viene rivolta a tutti i relatori riguarda il saggio – dichiaratamente contro il processo sulla trattativa e contro i pm che l’hanno istruito – del giurista Giovanni Fiandaca pubblicato alcune settimane fa su una rivista giuridica e ripreso dal Foglio di Giuliano Ferrara. Per Giovan Battista Tona il “difetto” di quel saggio riguarda appositamente l’attacco mirato ad un processo “come se fosse già finito” e si potesse trarre le conseguenze, quando invece si è appena agli inizi. “La legge processuale vigente nello Stato italiano – sottolinea Tona – impone che in base a questi elementi il processo si faccia, mentre non consente di archiviare gli elementi che sono stati acquisiti. In questo senso io penso che l’udienza preliminare, condotta con molta cura e molta attenzione, abbia avuto un esito che a mio avviso è conforme alla legge”. Pur non entrando nel merito, per ovvie ragioni professionali, Nino Di Matteo si limita a evidenziare i dati di fatto. “Le nostre indagini che sono sfociate nel procedimento sulla trattativa e a quello relativo alle coperture istituzionali della latitanza di Provenzano – sottolinea il pm – hanno avuto una peculiarità: sono state oggetto di feroci critiche da tutte le parti politiche, dalla destra, alle forze appartenenti al Centro e dai partiti di sinistra. Questa volta nessuno può dire che l’indagine è stata orientata politicamente per favorire una parte in quanto gli attacchi sono stati bipartisan”. Di Matteo elenca successivamente le anomalie che hanno sovrastato determinate fasi delle indagini sulla trattativa, a partire dal Conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale e mai sollevato nei confronti di altre procure. “Credo che tra 10 o 20 anni – ribadisce Di Matteo – qualunque sia l’esito dei processi di Caltanissetta e di Palermo (al di là di quello che sarà il giudizio sulla rilevanza penale l’attribuibilità a singoli soggetti che qualche anno fa non erano conosciuti) e grazie al lavoro dei colleghi di Caltanissetta e in parte al nostro, resterà il dato che molti fatti sono un po’ più evidenti. Nella contribuzione alla ricerca della verità vale più di ogni altra cosa e credo che ci debba indurre a sopportare serenamente ogni critica e anche qualche attacco strumentale”. Di seguito Nico Gozzo ricorda le reazioni scomposte all’interno della stessa magistratura all’indomani dell’avviso di conclusioni indagini sulla trattativa Stato-mafia con alcuni colleghi addirittura pronti a difendere a spada tratta alcuni indagati. “La critica sui provvedimenti giudiziari è il sale della nostra democrazia – sottolinea Gozzo –, ma si deve criticare sulla base di elementi concreti e di fatti specifici. In quella occasione (durante le polemiche interne alla magistratura in riferimento all’indagine sulla trattativa, ndr) dissi: ‘benvenute tutte le critiche, ma che siano critiche basate su dati di fatto o su dati giuridici’. Ecco quello che mi sarei aspettato dal professor Fiandaca! Non è un caso che sia stato pubblicato da un giornale (Il Foglio, ndr), perché il taglio che gli è stato dato, nonostante inizialmente sia stato pubblicato da una rivista giuridica, non è un taglio esclusivamente giuridico. Non ho nulla da dire sulle posizioni di Fiandaca in merito alle norme che sono state scelte da Palermo sulla base di quelli che erano i fatti e che sono criticate da Fiandaca nel saggio. Quello che sinceramente non mi aspettavo e che non riesco a comprendere sono gli attacchi di tipo sociale, politico che sono stati rivolti in generale all’impostazione dell’indagine”. Gozzo evidenzia come si tratti di un articolo “che, apparentemente, era diretto a una rivista giuridica ed è sinceramente ‘sui generis’”. Riferendosi alla parte finale del saggio Gozzo precisa la sua posizione: “non accetto e non mi piace il ‘tiro all’Ingroia’ che da un po’ di tempo si è diffusa in tutta la società italiana. Le stesse persone che oggi criticano Antonio Ingroia erano quelle che fino a qualche anno fa lo glorificavano su tutti i quotidiani e dappertutto. Mi sembra quindi strano che in un articolo che dovrebbe trattare di giurisprudenza e di critica giuridica si arrivi a parlare della persona, del pubblico ministero che fa le indagini. Anche questo è un fatto ‘sui generis’ su cui dobbiamo riflettere”. “Come movimento antimafia e come magistrati – conclude – ci dobbiamo porre il problema del perché sia accaduta una cosa di questo genere. I colleghi non hanno fatto un’indagine limitandosi alle cosiddette ‘archiviazioni infamanti’, si sono presi la responsabilità di chiedere un rinvio a giudizio, il giudice poteva o non poteva essere d’accordo, in questo caso è stato d’accordo. A questo punto dobbiamo avere rispetto del giudizio che si deve svolgere”. Per l’avvocato Lanfranca, al di là delle polemiche di Fiandaca, il punto fondamentale resta quello di capire, in un’aula di giustizia, se lo Stato possa o meno trattare con le organizzazioni criminali. L’avvocato Repici è ancora più esplicito quando definisce “il tradimento dei chierici” quello che anima gli attacchi strumentali nei confronti del processo sulla trattativa e di coloro che lo hanno istruito. Il legale di Salvatore Borsellino (il fratello del giudice è stato impossibilitato a presenziare al convegno per un problema di salute) riscontra pericolose analogie tra il clima politico attuale e quello che si respira attorno al processo sulla trattativa e al Borsellino quater. “Il problema – sottolinea Repici – resta quello che il potere, nella veste concreta di uomini che lo incarnano, non dovrebbe essere processato”. “Io avrei gradito che tanti altri giuristi avessero reagito a questo conformismo al potere, a questo ‘servaggio’ del potere che è diventato il pensiero unico degli pseudo intellettuali”.

Le scelte di Ingroia
Un ultimo giro di domande sulle scelte professionali di Antonio Ingroia caratterizza l’ultima parte del convegno. Da parte sua Giovan Battista Tona evidenzia che, al di là delle scelte professionali di Ingroia che rientrano nel suo pieno diritto, le indagini condotte dallo stesso ex magistrato debbano essere prese in considerazione per quello che sono senza alcuna dietrologia. “Io ho lavorato per anni con Antonio Ingroia – ricorda Nino Di Matteo – e mi sento di dire una cosa, oggi, nel momento in cui tutti attaccano il dottor Ingroia (nel suo momento di difficoltà politica) come corvi che si abbattono su una persona in difficoltà. In tanti anni ho sempre avuto il convincimento di lavorare, non solo con un ottimo magistrato, ma con un magistrato autonomo, indipendente e nel suo lavoro per nulla politicizzato, che non ha mai orientato le sue scelte professionali sulla base delle sue idee. Un magistrato che invece è stato sempre accusato di essere politicizzato perché in certe occasioni, in alcuni casi anche doverosamente, ha trovato il coraggio di esporre pubblicamente le sue idee in materia di giustizia e di riforma della giustizia. I magistrati politicizzati ci sono, ma a mio parere sono altri, e molto spesso non sono quelli additati come tali, ma sono quelli che magari non prendono mai posizione, non partecipano a dibattiti pubblici, ma cercano attraverso la frequentazione del potere di ottenere dei benefici anche di carriera. Quando vedo additare Antonio Ingroia come l’emblema del magistrato politicizzato mi sorge un senso di ribellione come poche volte ho avvertito nella mia attività professionale”. Dal canto suo l’avvocato Lanfranca manifesta tutta la sua “avversione” verso “il tiro a qualcuno che è in difficoltà” ricordando i tanti processi che Ingroia ha avuto il coraggio di istruire ai quali ha partecipato. Dello stesso avviso Fabio Repici che manifesta il suo rammarico per l’abbandono della magistratura da parte di Antonio Ingroia. “Solo per aver fatto ciò che era loro compito – sottolinea amaramente Repici – intorno ad alcuni magistrati, e tra questi fino a qualche tempo fa c’era anche Antonio Ingroia, si è creato un clima mefitico del quale è responsabile gran parte dello Stato, gran parte dell’intellettualità e buona parte del giornalismo”.

La lezione di coraggio
Il coraggio di Paolo Borsellino è tornato quindi a vibrare nelle parole di alcuni uomini “giusti” consapevoli di scontrarsi con uno Stato-mafia. Nell’immagine di chi continua a fare il proprio dovere solo perché “è giusto così” si rispecchia il volto puro del giudice assassinato il 19 luglio del ’92, al di là di qualsivoglia ragionamento sul fatto che ne valga la pena o meno. Nella tensione morale e nel coraggio di questi uomini pulsa forte la convinzione che l’impegno profuso alla ricerca della verità contribuirà a riscattare questa bellissima e disgraziata terra. Rendendoci finalmente liberi.

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