La “green mafia” targata Vito Nicastri
Un miliardo e mezzo di euro confiscato, 43 tra società e partecipazioni societarie; 98 beni immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni); 7 beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni); 66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento) e poi tre anni di sorveglianza speciale. Vito Nicastri è certamente una persona di grande intelligenza e furbizia, tanto intelligente da capire che il trucco era scoperto e alla fine la sua parabola si è conclusa nel modo che lui stesso pensava fosse finita qualche tempo dopo che gli agenti della Dia di Trapani erano andati a bussare ai suoi uffici per eseguire il decreto di sequestro che oggi con la sentenza del Tribunale delle misure di prevenzione è diventato provvedimento di confisca: “quand’è così l’avemu no’ culu!”aveva commentato dopo che per telefono poi un “amico” gli aveva fatto il resoconto della visita degli agenti anche presso una serie di istituti bancari dove lui teneva i suoi conti e i conti della sua società. Ci sono pagine di intercettazioni nel provvedimento del Tribunale, le dichiarazioni di diversi pentiti di mafia, ma soprattutto c’è un verbale, quello sottoscritto dagli investigatori della direzione investigativa antimafia di Trapani quando andarono a perquisire la sede di una sua società ad Alcamo, nascosta trovarono una cassaforte, dentro documenti e chiavette usb bancarie, certificati ed estratti conto relativi ad aziende a lui intestate ma anche a soggetti diversi, quella cassaforte era la sede della sua holding, nelle stesse mani, le sue, quelle di Vito Nicastri, i relativi destini.
La prova provata che Nicastri era a capo di un mondo di imprese tutte specializzate nella green economy che avevano sede dal Lussemburgo sino alla sua Sicilia, la sua Alcamo dove Nicastri è stato sempre visto come un potente. Forti contatti con l’ex presidente della Provincia, l’Udc Mimmo Turano tonato a sedere al Parlamento regionale, frequentazioni con il consigliere provinciale Santo Sacco di Castelvetrano, appena arrestato per i suoi contatti con Matteo Messina Denaro, libera circolazione nei palazzi della politica regionale dove di fatto otteneva ciò che gli interessava quando c’era da scrivere per esempio la legge finanziaria, grazie ai suoi buoni rapporti con l’on. Riccardo Savona o con l’ex deputato Emanuele Di Betta, Udc il primo (poi passato col Grande Sud), Mpa l’altro. Quando Turano eletto presidente della Provincia a Trapani fece la sua prima Giunta, nominò anche un assessore “in quota a Vito Nicastri”, Davide Fiore allora una sorta di enfant prodige della politica locale, sconosciuto com’era aveva sfiorato l’elezione all’Ars, e presto si spiegò come mai, Davide Fore risultò essere dipendente di Vito Nicastri, fidato collaboratore. Elettricista 30 anni addietro, Vito Nicastri oggi è un imprenditore che opera da tempo nel campo delle energie rinnovabili, è noto che da sempre attorno a questi affari si svolgono lucrosi affari e sono previste sovvenzioni statali che rendono gli affari ancor più appetibili. Le sue capacità lo hanno fatto diventare terminale di aziende come la Siemens, la Greetech, la Alerion, amministrate secondo principi di massima trasparenza verso il mercato, non potevano permettersi di impelagarsi in affari poco leciti, intrattenendo rapporti con le cosche mafiose locali o con la sempre più vorace burocrazia e classe politica locale. A tutto questo c’era Nicastri a pensarci. Lui da speciale cerniera è riuscito a svolgere un lavoro inestimabile per le grandi compagnie e, in affari multimilionari, realizza stratosferici guadagni.
Gli investigatori lo hanno sentito a colloquio con l’ex deputato regionale Di Betta, questi nella veste di consulente dell’allora assessore regionale Di Mauro si occupava dei finanziamenti per le energie alternative.
DI BETTA:Eh, e allora, l’ordine è questo…primo è CACCAMO, secondo CHIARAMONTE, terzo SICILIA CIMINNA, quarto LICODIA EUBEA, quinto MARSALA, ANTICA e MARSALA..
NICASTRI:Aspetta, aspetta, questo ANTICA e MARSALA passalo prima, vuoi una penna, qua c’e’ la penna.
Il pensiero di vita di Nicastri si racchiude poi in questa frase, anche questa finita intercettata: “il bello di vivere qua, senti il territorio, lo percepisci, avverti che bisogna muoversi in un certo modo, capire le esigenze del Sindaco, dei consiglieri, la festa, cinquemila euro sono minchiate, però tu ti fai ah un rapporto, crei un rapporto di..”.
La mafia. Nicastri non è certamente un affiliato, ma dalle acquisizioni processuali emerge la figura di un imprenditore che non disdegna di entrare in rapporti di affari con le imprese mafiose e di assicurare alle cosche l’ ottenimento di lauti guadagni. Intrattiene rapporti privilegiati con la pericolosa cosca mafiosa palermitana dei Lo Piccolo, con le cosche del messinese, del catanese ma anche con la ndragheta con le pericolose famiglie di San Luca per esempio. Sullo sfondo e mica tanto poi molto sullo sfondo c’è “Cosa nostra”, non quella tradizionale, ma quella mafia diventata impresa, capeggiata da Matteo Messina Denaro, quella “Cosa nostra” riservata che esiste dentro quella “Cosa nostra” come ufficialmente riconosciuta. Mafia e corruzione dentro questa indagine, mafia e impresa, quell’impresa che dialoga presentandosi con le mani pieni di soldi con politici e super burocrati. E Vito Nicastri ha tutte queste qualità.. Ma è il capitolo mafia a pesare di più nella sua storia, e forse i politici lo temono e lo rispettano conoscendo queste sue frequentazioni con i boss quasi da “pari a pari. A Nicastri il compito di mettere in contatto la mafia con le imprese “pulite”. Anche in questo l’intercettazione fatta a casa di alcuni mafiosi alcamesi: “gli dico Vito fai scendere gli spagnoli qua e gli dici che se non portano un altro milione e mezzo ..Ma cazzo! Loro devono sapere, prima di accendere il quadro che costa niente quel quadro non si metterà mai. Loro ci scendono con l’esercito e io la notte gli mando il topo.”.
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