Processo Rostagno, quel traffico d’armi all’aeroporto di Kinisia
Continua avvolto dal silenzio dei mass media nazionali il processo per l’omicidio del sociologo – giornalista, Mauro Rostagno, a carico dei mafiosi Vincenzo Virga e Vito Mazzàra. Il processo è ripreso stamani in aula a Trapani con la testimonianza del vice questore Pampillonia, ex capo della Digos della città, già ascoltato nella scorsa udienza, in particolare sulle indagini che nel 1996 portarono all’operazione “Codice Rosso”. Pampillonia in questi minuti sta parlando in aula (la cronaca che leggete direttamente dal tribunale è a cura di Rino Giacalone) delle indagini che incrociarono l’ipotesi di un traffico d’armi «attraverso un accordo di ferro (emerge anche da altri verbali, ndr) tra mafia, massoneria e servizi deviati – afferma l’investigatore – e del quale parlarono il giornalista, Sergio Di Cori, e un faccendiere dei servizi segreti, Francesco Elmo». Il vice questore rispondendo all’avvocato dell’imputato Mazzara, ha spiegato che «diverse informative vennero condotte all’interno di altre indagini all’epoca condotte dalla Procura di Trapani, riguardanti la scoperta di una polveriera di armi nel possesso di due carabinieri e la presenza del centro Gladio a Trapani».
A proposito dell’uso della pista di Kinisia, il vice questore Pampillonia riferisce che la «dalla corrispondenza avuta con l’Aeronautica Militare, in un primo momento, emergeva l’inesistenza di un aeroporto in disuso; successivamente, invece, venne confermata l’esistenza dell’aeroporto chiuso dal 1954, inoltre una ultima comunicazione veniva confermata che negli anni ’80 sulla pista di Kinisia venne svolta una esercitazione militare. In questo contesto Elmo fece il nome di tre generali, che sarebbero stati in contatto con lui, avendo un ruolo (ruolo che non avrebbe riguardato affatto il delitto Rostagno) non collegato comunque all’uso di Kinisia, e sul ruolo di questi generali venne posto il segreto di Stato. Di Cori riferisce che Rostagno (così gli avrebbe confidato) scoprì casualmente il traffico di armi sulla pista di Kinisia, quando ebbe l’occasione di appartarsi in quella zona con la moglie di un generale, che abitava a Trapani. Il rapporto con questa donna, secondo Pampillonia, sarebbe stato confermato dal collega di Rostagno, l’allora cameraman di Rtc, Gianni Di Malta, che all’epoca delle indagini, avrebbe detto che Rostagno aveva un rapporto con una donna. Di Malta testimoniò, inoltre, alla Digos che esisteva una cassetta dove Rostagno aveva scritto “non toccare” e che un giorno si arrabbiò quando per scherzo non gliela fecero trovare. Da Di Malta – secondo Pampillonia – arriverebbero indiretti riscontri al racconto del Di Cori sull’uso che Rostagno aveva fatto di una video camera, da solo, senza avvalersi di alcun operatore. Cita una relazione di servizio del 15 novembre 1996 dove si fa riferimento ad una relazione dell’ispettore Cicero, allora in servizio presso la Mobile, che cita un traffico di armi fatto dalla famiglia mafiosa dei Minore, usando aerei che atterravano all’aeroporto militare di Birgi.
Secondo il vice questore Pampillonia «non era da ritenere paradossale il racconto del Di Cori, perchè alcuni riscontri emergevano sebbene il giornalista ne avesse fornito una versione colorita». A proposito della cassetta che Rostagno teneva con su scritto “non toccare”, il teste Di Malta ha riferito che la sera del delitto arrivò nella sede di Rtc trovò tutto aperto e dalla stanza del Rostagno mancavano proprio la cassetta e un libro sulle saline. Ma chi era la donna del generale con la quale Rostagno si sarebbe trovano vicino all’aeroporto? La curiosità della difesa viene accolta: l’amante del Rostagno era la moglie del generale Chizzoni. Uomo di grande spessore, con collegamenti con politici a livello nazionale. Francesco Cossiga sarebbe stato spesso suo ospite nella villa vicino Trapani (la villa Paperelle) a Valderice. La moglie lavorava all’epoca in una ambasciata a Roma.
La deposizione del vice questore Pampillonia è proseguita, sempre rispondendo alle domande dell’avv. Vito Galluffo. Pampillonia ha riferito di avere individuato il boschetto nei pressi dell’aeroporto di Kinisia dove Rostagno avrebbe avuto modo di appartarsi con la moglie del generale Chizzoni, potendo così riprendere l’arrivo di un aereo su quell’aeroporto ufficialmente chiuso, a Kinisia (oggi campo per la tendopoli dove sono stati sistemati alcuni dei clandestini arrivati a Lampedusa, ndr). Il boschetto esiste, così come esiste, ha affermato Pampillonia, una stradina che collega quel boschetto con la comunità Saman di Lenzi. Le domande dell’avv. Galluffo continuano ad approfondire vicende che vero che ruotano attorno al delitto Rostagno ma che alla fine sono più che altro i misteri della città: Trapani, le sue connessioni segrete, i contatti tra mafia e massoneria, tra Cosa nostra e i servizi deviati, tutte vicende più o meno approfondite, ma che si sono concluse con archiviazione, come quella su Gladio.
Un po’ più approfondita, invece, è la descrizione di Giuseppe Cammisa, detto Jupiter, con parentele “ingombranti”, come quelle con un avvocato di Campobello, Antonio Messina, condannato per traffico di droga. Cammisa frequentava la comunità e faceva il braccio destro di Cadella, il guru della Saman. Cammisa dopo il delitto divenne una sorta di accompagnatore fisso della compagna di Cardella, una donna ungherese. A proposito di Cardella, Pampillonia ha riferito che attraverso Di Cori si apprese che «la lite con Cardella da parte di Rostagno doveva essere molto forte. Il dibattimento si è poi spostato sull’intervista rilasciata da Rostagno a Claudio Fava, per il mensile “King”, dove Rostagno si era esposto in direzione antiprobizionista a proposito della legge sulla droga che era in cantiere, entrando dunque in conflitto con Cardella». «E’ chiaro oramai – scrive Rino Giacalone dal tribunale – che la difesa di Mazzara vuole portare il processo altrove, rispetto alle responsabilità già accertate da una perizia balistica in merito al suo assistito. C’è una domanda – continua – che però ancora non è stata fatta a Pampillonia, perchè quando riaprì l’indagine, anche se riguardava la pista interna, non fu fatta la perizia balistica su quei colpi d’arma da fuoco trovati a Lenzi la sera del delitto?».
In merito all’interrogatorio dell’amico di Rostagno, Renato Curcio, Pampillonia afferma che fu sentito diverse volte sempre nell’ambito dell’indagine “Codice Rosso”. Curcio fece una intervista che diede delle conferme su tutti quei dubbi compendiati nella richiesta di custodia cautelare. L’omicidio Rostagno da quella intervista appariva come “complesso” e l’intervista di Cuircio è “particolare”. Lui – massimo ideologo delle Br, pragmatico per quanto sia un ideologo, fa una intervista stranissima dove dice che Rostagno è stato ucciso da un potere. Sentimmo Renato Curcio – prosegue Pampillonia – che raccontò alcune cose, non so se tutte furono verbalizzate, mi colpirono due cose. Nella logica della lite tra Rostagno e Cardella, Curcio sostenne che non era possibile che la causa fosse quell’intervista a King. Ma sui contenuti non può riferire. Curcio fu sentito il 21 novembre 1996 dal procuratore Garofalo e dal pm Rovida, prima ancora il 31 luglio 1996. Curcio parlò dell’omicidio e del movente, chiedono in aula? Noi operavamo nell’ambito dei riscontri tra Cardella e Rostagno, risponde Pampillonia, volevamo capire se Rostagno a Curcio avesse detto qualcosa. Lo scontro tra Rostagno e Cardella era estremamente pesante e forte e non poteva essere ricondotto anche ad un problema economico o l’intervista a King, oppure a ciò che aveva scoperto, la malagestione di Saman, o ancora che venivano fatti dei falsi. Carla Rostagno, sorella di Mauro, ci
parlò della scoperta di una firma falsa su una fattura da parte del fratello. Su questo sentimmo molte persone per capire se ciò che si era acquisito era oggettivamente riscontrato.
* La cronaca in diretta dal tribunale è a cura di Rino Giacalone (e in continuo aggiornamento).
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