La resa della Mala
Per chi ha la mia età Felice Maniero è soprattutto un fotogramma. Quella di un giovane dall’aspetto guascone, che catturato dopo una lunga latitanza, saluta casa con un “Ciao mamma”. Questa immagine, gioiosa, sorridente, come il viso di Maniero, collide in maniera clamorosa con chi si nasconde dietro quel volto. Chi era Maniero? “Felicetto”, “Faccia d’Angelo”, tutti nomi che sviano e non richiamano subito al suo ruolo di leader, di capo, della Mala del Brenta. Abnorme creatura criminale che per quattro lustri ha spadroneggiato nel Veneto, non disdegnando puntate nelle regione limitrofe e lucrosi contatti oltre confine nei Balcani.
Raccontare la storia di questo uomo, non tanto alto, gaglioffo quanto basta e invero padrone per due decenni delle sorti di una regione, significa innanzitutto decostruire la percezione quotidiana di mafie. Qui non siamo al Sud, qui siamo nell’operosa provincia veneta, ma il clima è tutt’altro che compiaciuto: le storie di efficienza, laboriosità, i capannoni del Nord Est fanno parte di un altro immaginario. Qui si spara, girano soldi a palate (sacchetti di immondizia e carriole piene di denaro, a volte!), si traffica droga. E soprattutto nel momento del declino ci si ritrova con in mano un mucchio di domande: dove sono i soldi della Mala che per anni ha tenuto in scacco una regione?
Come ha fatto Maniero a cavarsela? La sua collaborazione con la giustizia è una strategia programmata? Informata e competente, prova a rispondere a queste domande la giornalista veneta Monica Zornetta, già apprezzata per A Casa Nostra, lucido saggio sulla criminalità in Veneto, e collaboratrice del programma “Lucarelli racconta”, nel libro “La Resa – Ascesa, declino e pentimento di Felice Maniero”, in cui proprio il famoso narratore emiliano firma la prefazione. Quello che viene fuori è un agile libro che ripercorre le gesta della mala di Feli, ne spiega la natura, ricordiamo che si tratta di una associazione, la sua, unica al Nord considerata come mafia autoctona, e ne racconta i misteri. Partiamo dai giorni nostri, dicembre 2010.
Maniero gira tranquillamente con la sua Porsche, magari con una bella sciarpa al collo. Ora, a sedici anni dal suo arresto, il boss dellla Mala del Brenta è un uomo libero. Che fa l’imprenditore, in maniera legale. Non più droga come ai “bei tempi”. In questa figura che, oggi, saldato il conto con la giustizia, gira tranquillo nei panni di un nuovo Felice Maniero, sta la storia che la giornalista veneta vuole raccontare. Quella di una vera e propria resa con lo Stato, con una cattura che viene studiata a tavolino, e i cui dettagli collaborativi vengono decisi con il boss. La fine della Mala è l’inizio della nuova vita di Maniero, la sicurezza di aver salvaguardati i suoi soldi e i suoi affetti. “Faccia d’angelo” è stato un collaboratore dello Stato ma già più volte si era impegnato a stringere e a sciogliere accordi con le istituzioni per farsi togliere provvedimenti restrittivi o avere agevolazioni.
Quando non a impegnarsi a corrompere servitori corrompibili dello Stato. Suoi ad esempio due clamorosi tentativi, riusciti, di fuga dal carcere. Il primo nel 1987 a Fossombrone, nelle colline pesaresi, il secondo, pesantissimo, dal supercarcere “Due Colonne” di Padova. Una beffa che in molti ancora ricordano. Fa quindi rabbrividire che il capo di una associazione di tipo mafioso giri ora in Porsche, tranquillamente. Tutt’altro che semplici ladri di polli o furfanti di provincia, i “campagnoli” di Maniero erano veri padroni: alleati con siciliani, campani, in contatto fin con il figlio dello storico leader croato Franjo Tudjman. Comandavano tutto, facevano rapine, gestivano droga e bische: «Noi a Modena abbiamo mandato via i cutoliani » disse Maniero.
Una mafiosità che si respirava anche in quelle terre, nel Piovese: il fascino di Maniero, e la capacità di dirimere le questioni, fino a dare una mano alla gente a pagare le bollette. Si controlla anche così un territorio; almeno così faceva il caschetto di Campolongo, amante dello scopone scientifico e condannato a mangiare in bianco per una gastrite cronica. E non mancano nella scura epopea della Mala anche le faide interne, il sangue, gli omicidi, gli occultamenti di cadavere. Ma infine, nella descrizione a tutto tondo di Maniero, rimane ancora un personaggio sfuggente, celato dietro quel sorriso che suscita mille interrogativi. Anche la sua cattura forse poteva avvenire prima. Perché ciò non è avvenuto? Quanto pesa, notizia che il libro tira fuori egregiamente, che Maniero fosse contrario alla costituzione di un nucleo investigativo antimafia nella città di Verona, la Bangkok di occidente, nota come centro di smistamento di droga?
Domande ficcanti che in parte rimangono avvolte dall’oscurità. Rimane, un’inquietante frase, stampata sulla quarta di copertina del libro. La dichiarazione di un avvocato durante il processo Rialto, alla Mala: «Se questo processo fosse iniziato alla fine degli anni Novanta, poco dopo il pentimento di Felice Maniero, il Veneto sarebbe di sicuro finito con il culo per terra: allora erano troppi gli interessi da difendere, troppi i personaggi pubblici da proteggere… Oggi, passato così tanto tempo, non può che andare in scena una farsa, una recita a soggetto… il signor Maniero non ha nulla di che preoccuparsi, può continuare a dormire sonni tranquilli… e come lui, molti altri… ».
La resa
Monica Zornetta
Baldini Castoldi Dalai 2010
pp.173
€ 15,00
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