Calabria. Terra dei desaparecidos
Francesco Aloi, ventiduenne,
Pizzo, tredici anni fa. La madre Antonietta Pulitanò lo ha atteso per
anni poi il drammatico ritrovamento del suo corpo in un pozzo. Santino
Panzarella, ventinovenne, Filadelfia all’ombra della cosca Anello-Fiumara.
Dopo quel giorno maledetto del 2002, alla madre Angela Donato costituitasi
parte civile nel processo contro in presunti assassini, è stata restituita
solo una clavicola, unica traccia del corpo del figlio. Michele Penna
e Salvatore Franzè, trentenni, Stefanoconi all’ombra della cosca Petrolo-Bartolotta.
E insieme a loro altri. Domenico Serraino e Francesco Stillitano, in
località Francavilla Angitola. Renato Vettrice, quarantunenne, non
rientrato a casa nell’agosto del 2005 a Sant’Ilario dello Jonio.
Cosimo Martelli, ristoratore scomparso nel 2006 a Locri. Poi ancora
Francesco Anello, Pietro Nicolò e Antonino Morabito. L’ultimo nel gennaio
2008. Antonio Giurlanda, ventinovenne, in località Soriano Calabro.
Molti di loro sono solo alcuni dei cinquanta ragazzi inghiottiti nel
nulla, spariti, negli ultimi vent’anni nel cosiddetto quadrilatero delle
sparizioni, nel fazzoletto di terra vibonese con quindicimila anime,
comprendente Filadelfia. Francavilla, Acconia di Curinga e Pizzo. Solo
pochi corpi vengono ritrovati. A volte solo l’esame del dna consente
l’identificazione. I moventi sono mafiosi, sentimentali e in qualche
caso anche politici. E’ la lupara bianca nel vibonese in Calabria. Tutto
fin troppo chiaro laddove regnano la tenebra, l’oscurità e il mistero.
Non c’è la dittatura militare
ma chi non è d’accordo o viola le regole viene perseguitato e punito.
Nessun colpo di stato che abbia evidenziato agli occhi del mondo, qualora
avesse voluto saperlo, che chi avesse occupato le posizioni di comando
avrebbero perpetrato violenza e abusi per mantenere un potere strappato,
eppure esistono delle forze occulte che compiono atti di cui nessuno
risponde e a cui spesso non segue alcuna giustizia. Non siamo nel Cile
di Pinochet, nè nell’Argentina della dittatura militare degli anni
Settanta che inghiottì oltre trentamila persone tra cui centinaia di
bambini. Siamo invece in Calabria. Anche qui c’è chi sparisce e viene
torturato. Anche qui ci sono i desaparecidos. Anche qui ci sono le madri
che, come quelle di Plaza De Mayo, cercano i loro figli e non
si rassegnano. E’ drammaticamente spesso il filo di questo discorso
quando parte dal cuore di famiglie straziate. Poi questo filo si assottiglia
vergognosamente quando dovrebbe rafforzarsi e diventare un’unica maglia
con il tessuto sociale e istituzionale che invece non riesce a dare
risposte al fenomeno della Lupara Bianca, nel vibonese, in Calabria.
La cronaca del 2009 si è aperta in Calabria con la macabra storia del
rapimento di un giovane ventiquattrenne, Cristian Galati, il cui corpo
è stato immobilizzato e brutalmente percosso prima di essere dato in
pasto alle fiamme a Curinga nel lametino, in provincia di Catanzaro.
Forse legato ad un albero. Sicuramente bruciato vivo. Tre arresti –
Pietro Mazzotta, Emanuele Caruso, entrambi di 20 anni, e Santino Accetta
34 anni unico pregiudicato e vicino alla clan Anello di Filadelfia
– e un destino atroce che ancora lo vede lottare tra la vita e la morte
a seguito di lesioni e una grave emorragia celebrale, presso il centro
grandi ustionati di Bari. Perchè? Una ritorsione per essere stato il
sospettato numero uno di aver incendiato un’auto. Forse un atto legato
ad un’altra bruciante tragedia familiare. Qui, poco importa se centri
o non centri, i conti si regolano e si regolano così. E la famiglia
Galati lo sa bene. Lo sa bene da quando nel 2006 fu rapito un altro
figlio, il fratello di Cristian, Valentino Galati, desaparecido ma di
quelli calabresi. Reo, probabilmente, di aver intrecciato una relazione
d’amore con la moglie di un boss di cui ostinatamente la madre Anna
Fruci continua a dichiarare di non avere mai saputo nulla. E’ la madre
Anna, il volto della disperazione per un silenzio attorno alla vicenda
che suona come una condanna. Suona come il tentativo di gridare che
c’è vita in un corpo che tutti credono sia ormai solo un fantasma.
Seminarista a Catanzaro, Valentino, scomparve la sera del 27 dicembre
2006 a Filadelfia, uno dei quattro paesi del vibonese tristemente denominati
come il quadrilatero delle sparizioni.
La ricostruzione delle storie
spezzate dalla lupara bianca costituisce un altro degli enigmi di questa
terra. Gli appelli delle madri si susseguono ma non bastano. Le indagini
non sempre approdano alla verità e mai restituiscono un corpo in vita.
In Calabria, si sa, ci sono molti modi per “far sparire” e sono
quelli che, contrariamente a quelli per resistere, contrastare dissentire,
“appaiono” sempre come i più efficaci. Con il massimo e dovuto
rispetto per l’operato incessante di magistratura e forze dell’ordine.
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